01 Feb Nel borgo di Vincenzo Cuoco con gli Street Artists di CVTà
“La libertà è un sentimento e non un’idea. Si fa provare con i fatti e non si dimostra con le parole.” [Vincenzo Cuoco]
Civitacampomarano è un piccolo borgo immerso nelle colline del Molise nella provincia di Campobasso. È uno dei rari esempi dell’Italia Meridionale di roccaforte martiniana. L’importanza della roccaforte di Civitacampomarano consiste nel presentarsi come una sorta di “campionario” dell’architettura del grande maestro senese Francesco di Giorgio Martini. Un esempio molto raro non solo nel panorama del meridione d’Italia, ma dell’intera produzione martiniana.
Notizie del borgo risalgono già all’epoca dei Sanniti. Secondo Tito Livio il centro combatté contro Roma nelle Guerre sannitiche fino al I secolo a.C, quando soccombette alla dittatura di Silla.
Passata di signore in signore fino al XIII secolo, fu grazie agli Angioini che tornò a vivere giorni di benessere e a quel punto si riunì sopra un colle, dove fu costruito il castello, in sostituzione di un più antico insediamento fortificato della metà del XII secolo.
Nel 1443, Civitacampomarano passò agli Aragonesi con Alfonso V d’Aragona. Carlo Maria Mirelli, nel 1777 fu l’ultimo duca di Civitacampomarano.
Nel XVIII secolo gli esponenti delle famiglie benestanti locali frequentavano gli studi superiori e universitari spesso a Napoli o a Salerno e riportavano nei luoghi natii quelle idee che illuminavano le menti più sensibili e desiderose di sapere.
In pieno Illuminismo, in un periodo in cui uomini ispirati si battevano per una società più libera ed autonoma, in cui doveva prevalere la volontà della maggioranza, Civitacampomarano diede i natali a menti che seppero assimilare tanta cultura e irradiare il loro sapere, concependo una patria comune (prima nazionale e poi addirittura europea) e riconoscendo l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini.
Alcuni esponenti eminenti della società civitese dell’epoca furono Vincenzo Cuoco e Gabriele Pepe fautori, con altri, della Rivoluzione napoletana del 1799.
Dichiarato Monumento nazionale il 2 maggio del 1979 con Decreto del Ministero per i Beni e le Attività culturali e acquistato dallo Stato nel marzo del 1988, il Castello Angioino di Civitacampomarano è il monumento più significativo del paese. Risale al 1300 ed è protetto da 4 torri perfettamente conservate. Ogni torre dotata di feritoie era collegata ai camminamenti di ronda con ambienti per il corpo di guardia e l’alloggiamento di armi. All’interno del Castello si possono ammirare una fontana medievale, le camere dei signori e le prigioni nei sotterranei. L’ingresso principale avviene dal lato orientale, tramite uno scalone di 12 gradini e un portale in stile catalano-aragonese del XV secolo.
Sopra la chiave di volta si conservano due stemmi: quello superiore è della famiglia Carafa della Spina ed è costituito da tre fasce attraversate da una spina posta in banda; quello inferiore è di Paolo di Sangro: uno scudo gotico a sette bande con elmo sul cimiero, unito a quello dei Monforte, rappresentato dalle due rosette poste accanto allo scudo. Questa fusione rappresenta l’unione delle due famiglie. Lo stemma è poi sormontato da un drago che ha sotto le zampe due gigli capovolti, testimonianza allegorica del tradimento delle due famiglie nei confronti degli Angioini in favore dell’alleanza con gli Aragonesi.
Intorno all’edificio si sviluppò il borgo, dove si trova la casa natale di Vincenzo Cuoco, costruita in pietra grezza, con piccolo portale incorniciato.All’esterno campeggia una lastra in marmo con inciso: «In questa umile casa nacque il I ottobre 1770 Vincenzo Cuoco. Scampato dalle forche del 1799, nell’esilio narrò le lotte fra principato e repubblica, con parola serena ed ammonitrice, calda del sangue dei martiri. Risalendo all’antichissima filosofia italica e divulgando Giambattista Vico, volle restaurato il sapere e le virtù patrie con le tradizioni di nostra gente. Il 13 dicembre 1823 morì in Napoli fra il silenzio degli oppressi. Il suo presagio fu storia delle nazioni risorte. La Provincia con orgoglio di madre il 1905.»
Tra i vicoli è possibile visitare i resti della Casa del Mercante che risale al XVIII secolo, di cui restano il portone ad arco e un parapetto dal quale venivano venduti i prodotti locali.
Civita è caratterizzata dalla formazione di calanchi, un fenomeno geomorfologico di erosione del terreno che si produce per l’effetto di dilavamento delle acque su rocce argillose degradate. Il sito è stato classificato tra le aree protette e dichiarato Sito di Interesse Comunitario e presenta vari punti di osservazione dislocati in tutta l’area.
Attraverso l’ente di promozione locale, la Pro Loco “V. Cuoco” e con l’impegno dell’Amministrazione locale, Civitacampomarano è stata riscoperta da quei turisti più sensibili alla bellezza paesaggistica, il fascino storico e culturale dei piccoli borghi d’Italia.
Dal 30 novembre 2011 aderisce all’associazione “Borghi Autentici d’Italia” che riunisce piccoli e medi comuni attorno all’obiettivo di un modello di sviluppo locale sostenibile e al progetto “Borghi della lettura” per creare un’offerta di turismo tematico, ponendo l’accento su ambiente e cultura e alla Rete Italiana Cultura Popolare con lo scopo di “valorizzare, conservare e promuovere a livello nazionale due festività molto sentite, in cui si abbinano gli aspetti sacri e pagani: San Giuseppe e San Liberatore.”
Seguendo sempre la strada della valorizzazione e la riscoperta di un antico luogo che ha voglia di resistere anche nella contemporaneità, nel 2016 è stato ideato e organizzato il primo festival di street art, il CVTà Street Fest, sotto la direzione artistica di Alice Pasquini, in arte “Alicè”.
I linguaggi della street art conquistano e ridisegnano il paesaggio urbano con la partecipazione dell’intera comunità “nell’ideale abbraccio che unisce passato e futuro”.
E con un salto nel passato più remoto, avvolto in una coltre di mistero, nei pressi del borgo di Civita sorge un cimitero napoleonico.
Si tratta dell’antico cimitero del paese, costruito dopo l’emanazione dell’editto di Saint Cloud da parte di Napoleone Bonaparte che prevedeva la tumulazione dei defunti al di fuori delle mura, sia per evidenti ragioni igienico-sanitarie, sia per evitare discriminazioni tra i cittadini. Prima di allora, infatti, si era soliti seppellire le persone di classi non abbienti in fosse comuni, mentre solo agli ecclesiastici e alle classi nobili era consentita la tumulazione nelle chiese in loculi individuali.
Il sito, molto ben conservato, è uno dei pochi esempi rimasti di cimiteri napoleonici nel Centro e nel Sud della nostra penisola.